Il preambolo [saltatelo pure se non avete voglia!]
Mi sono messa qui per scrivervi della Tosca e subito, non sapendo da dove cominciare e credendo che ciò che era dire sia già stato detto, sono stata colta da una crisi: nessuna, nessunissima voglia di scrivere. Ecco perché comincio così.
Poi ho pensato che una messa in scena così si meritava almeno un appunto, una nota, una menzione su questo povero blog, che ha passato un anno e mezzo nel dimenticatoio.
Voglio dire la mia su questo allestimento. Una recensione molto personale, di certo oggettiva, ma anche molto molto soggettiva.
Siccome non amo, per distinti e svariati motivi il compositore toscano (n.d.a. Puccini), scrivere di lui mi è nuovo, raro. Con fatica, ogni volta che il mio amato teatro propone una sua opera vado, diligentemente, ad ascoltarla e vederla e puntualmente - non ci crederete - confermo la mia posizione di astio misto a non-comprensione! Eppure ci fu un tempo in cui amai Boheme - opera che tutt'ora apprezzo. Comunque sia per quanto io possa non-reggere una qualsiasi delle sue opere, trovo sempre un tema, un momento, un dettaglio d'orchestrazione, una parte di libretto, un matrimonio tra parola e musica che mi affascina e mi fa ritrovare col M° Puccini una sorta di feeling - abbiamo, devo ammettere, una vera e propria relazione di amore-odio [sarà perché non lo posso cantare!]
Tornando alla nostra Tosca,l'ultima rappresentazione a cui ho assistito è stata quella del 2010 - che poi, è anche il più recente allestimento del Carlo Felice, tolto quello presente - e mi ricordo che, pur essendo io agli inizi del mio percorso musicale, avevo apprezzato la messa in scena, i cantanti e... la musica! Ovviamente non ricordo nulla di più o di specifico, né a cui tempi mi preoccupavo troppo di informarmi o leggere per bene il libretto - se non per opere che amavo - andavo a teatro e come per i primi ascoltatori ai tempi della prima dell'opera (in questo caso il 14 Gennaio del 1900) mi facevo invadere da suono, testo, libretto, voci, orchestra, parole, sonno... e chi più ne ha più ne metta.
Ora non mi faccio più fregare, o meglio, ci provo. Il vantaggio è che grazie al Conservatorio ho il privilegio e l'onore di assistere alle prove e quindi posso entrare più lentamente nel mood dell'opera, capirne i dettagli, apprezzarne meglio il libretto, seguire l'evoluzione dell'orchestra, tenere conto dei passi complessi e dei punti rischiosi, vedere la costruzione e ammirare l'evoluzione scenica e la trasformazione degli interpreti giorno dopo giorno, per poi ritrovare il tutto condensato nell'arco di tre ore davanti ai miei occhi. Una vera e propria meraviglia.
Di Tosca mi sono gustata il libretto come solo di poche opere ho fatto - Otello e poche altre - la sua fantastica e mirabolante orchestrazione ed variabilità tematica, la sua faccia cinematografica che il grande Livermore esalta con maestria. Mi sono lasciata trasportare.. e la magia ha preso forma.
Eccoci arrivati finalmente alla spero concisa, ma completa, recensione di questo allestimento.
Io ho assistito alle prove e alla recita della I compagnia del 23 Dicembre - spero di riuscire ad andare anche a quella del 30!
Cominciamo dal titolo, Tosca è Maria Guleghina, che avevamo già incontrato qui nel teatro genovese nei panni di Lady Macbeth dove aveva brillato, mentre adesso risulta una vera delusione - data anche la frequentazione che la cantante che del ruolo - a discapito di quanto ho letto di qua e di là ella non è quasi per nulla aderente al personaggio, la sua interpretazione è inappropriata, poco lavorata, molto lontana dalla volontà del regista; si muove in scena per posizioni, la gestualità è meccanica e l'espressione priva di verità scenica e legame interiore. Dal punto di vista vocale si rivela una discreta Tosca, con molti problemi, sia di intonazione sia di pronuncia - la prima risulta vaga e incerta la seconda poco italiana [n.d.a. ma fosse questo il problema!!] e appena scandita; sul versante musicale e vocale, ritroviamo un legato gestito con maestria, ma con poca duttilità, i centri che risuonano e risultano belli, tondi e marcati, come la zona grave, ma gli acuti un po' fissi e lanciati, la pronuncia e la musicalità in essi si perde. La protagonista si salva un poco nel Vissi d'arte, che dal punto di vista vocale continua a non convincere pienamente, ma dove l'interpretazione più aderente al personaggio ed al libretto e l'uso della parola emozionale, riesce a trasportarci e a farci vivere un momento di vera sospensione temporale e simpatia emotiva. L'intonazione ed il rispetto della partitura sono misere per un'artista del suo livello. Più Fosca che Tosca, direi. Roberto Aronica interpreta il coraggioso Cavalier Cavaradossi, mette in scena un personaggio piuttosto convincente, anche se le difficoltà del ruolo e delle scenografia e regia lo tradiscono e lo rendono un po' più Roberto che Mario. I suoi momenti lirici risultano ben gestiti, anche se Recondita Armonia patisce di un vibrato caprino leggero dato forse dall'altezza - fisica! - a cui canta o dall'emozione, la parte musicale è curata, l'intonazione puntuale, gli acuti ben gestiti anche se di tanto in tanto un poco stretti. Un distinto debutto in Scarpia per Carlos Alvarez, che ritroviamo sul palcoscenico del Carlo Felice da Otello - meravigliosamente messo in scena l'anno passato in questo stesso periodo con la regia di Livermore - egli ha una giusta presenza scenica coesa al personaggio, una voce timbrata anche se meno presente rispetto all'anno passato - forse dato anche da un organico un poco più vasto - grande precisione musicale, bravura nel rendere le sfaccettature del personaggio e intelligenza nel sacrificare acutamente, in certi punti, la vocalità perfetta all'interpretazione avvincente. Tra i comprimari un ottimo Spoletta di Enrico Salsi dalla pronuncia chiara e dalla voce timbrata e squillante, un Sagrestano divertente e bonario (Armando Gabba - in sostituzione del povero Claudio Ottino inforunatosi sulla scena che da oggi riprende il suo ruolo), ben delineato scenicamente, ma poco presente vocalmente il fuggiasco Angelotti di Giovanni Battista Parodi, giusti Davide Mura (Sciarrone) e Cristian Saitta (Carceriere).
Una nota di merito all'intonato e diligente Pastorello di Filippo Bogdanovic. Ottime e realistiche le prestazioni dei figuranti e dei mimi, con una menzione speciale per "l'angelo" (una famosa statua presente a Castel Sant'Angelo).
Degna di merito la prestazione dell'Orchestra del Teatro e di tutta la macchina scenica. Il coro svolge bene il suo ruolo anche se, talvolta, sovrasta le voci in scena.
Discreta la prestazione del Direttore d'Orchestra Stefano Ranzani, di cui non riesco a capire neppure l'attacco iniziale...
Belli e curati i costumi di Gianluca Falaschi.
Ottime la regia, la scenografia e le luci di Davide Livermore che come sempre stupisce ed offre nuove visioni di opere già macinate, aprendo una finestra alle possibilità tecniche che offre la nostra epoca e avvicinando un pubblico anche meno esperto e/o abituato al cinema attuale, fatto, quest'ultimo, di movimenti veloci, realismo, effetti speciali e stacchi sorprendenti. Livermore fa riscoprire il piacere dell'opera a chi già la ama e la rende accessibile e snella a chi non la frequenta. L'arte del meravigliare, del sorprendere e dello stupire. Egli in questa regia sfrutta a pieno la vena cinematografica che Puccini, Illica e Giacosa propongono, eseguendo mutamenti di prospettiva, tagli, primi piani, ottenuti grazie alle luci, alla gestione della scena e al rispetto e alla conoscenza della partitura e del libretto. Stupendo l'uso di prospettive nuove e piani inclinati mirabolanti. Perfetta la volontà di coinvolgere lo spettatore anche con l'olfatto - come già anticamente nei teatri di prosa era successo - inserendo un pronunciato odore di incenso all'entrata in sala e al primo atto che si svolge in chiesa - inserendoci ancora di più in una dimensione.
Infine da notare il salto di qualità fatto con dei sovratitoli curati e puntuali e un buon libretto lavorato nell'impaginazione come nei contenuti (anche se ci aspettavamo qualche saggio in più!).
Andateci!!
Giorgia