sabato 30 marzo 2013

L'Aria che tira - 6



Che meraviglia! Ascoltate come ci allieta il pomeriggio questa giovane sconosciuta!

My heart will go on 




Fortunatamente ci sono i  Plant White T's con la loro
Hey There Deliah,
di cui Livia ci ha parlato da poco, per riprenderci!

giovedì 28 marzo 2013

qui nei pressi... - 4



Ecco, il punto è che sono davvero tanti, i blog, sono tantissimi!
E nessuno si stanca di aggiornarli.. o quasi!

Dunque per questa settimana offro a tutti i curiosi delle pillole!
Una per ciascun "settore".

Musica

The Rape of Lucretia” a Trieste

Un’opera drammaticamente intensa, formata da diversi strati narrativi, un’opera che tratta un tema scomodo, calato nel periodo storico dell’imperatore Lucio Tarquinio, meglio conosciuto come Tarquinio il Superbo, periodo che vide la cacciata dei re da Roma e l’inizio della repubblica con il progressivo allargamento dei domini romani alle diverse sponde del Mediterraneo, allargamento di cui rimangono ancor oggi le vestigia che nella più palese delle forme sono rappresentate dai numerosi anfiteatri che costellano le coste del Mediterraneo. Ciò ha fatto decidere al 36enne regista spalatino Nenad Glavan di mettere “al centro della scena il potere, che geometricamente di solito si presenta in forma di semicerchio: di un anfiteatro, di un parlamento o di un tribunale. Un semicerchio rispecchiato nel suo opposto è ancora una volta un cerchio. Vizioso? Di disperazione? Di speranza? …”.

La scena si crea e si disfa davanti ai nostri occhi, portata a mano, passando dall’anfiteatro semicircolare al cerchio, enfatizzato ulteriormente dall’utilizzo di una webcam, messa verticalmente sopra il palcoscenico, che permette anche al pubblico di vedere secondo due prospettive, quella orizzontale e quella verticale, proiettata quest’ultima su un semicerchio messo al fondo della scena. Glavan, che oltre ad essere il regista è anche l’autore delle scene, ha poi utilizzato la webcam anche per farci vedere i primi piani dei due cori, interpretati da Alexander Kröner, quello maschile, e Katarzyna Medlarska, quello femminile, che nella dinamica dell’opera fungono da commento all’azione e che concludono l’opera nel proscenio con un sipario nero dietro alle spalle in un epilogo fortemente caratterizzato da sentimenti cristiani. Pensata come un’opera da cameraThe rape mostra l’estrema duttilità e notevole inventiva di Britten soprattutto nelle scelte di orchestrazione che si realizzano in soluzioni anche inaspettate (come quella di utilizzare il pianoforte come accompagnamento in una specie di recitativo secco, secondo l’ispirazione barocca; oppure quella di usare i timbri del flauto basso e il clarinetto basso creando una atmosfera morbida, notturna; oppure nella fusione del suono dell’arpa con i glissati del contrabbasso a significare i suoni della natura; oppure nell’utilizzo dell’omogeneità di timbri della sezione dei fiati che non è di facile realizzazione, come ci ha dimostrato proprio l’interpretazione triestina dei membri dell’Orchestra del Teatro Verdi, diretti dal giapponese Ryuichiro Sonoda).

Continua>>  di Luisa Antoni su Il Corrire Musicale



Cinema

Gli amanti passeggeri

Dai grandi maestri ci si aspetta sempre il capolavoro che lasci a bocca aperta. A volte però, anche a loro è concesso di voler semplicemente divertirsi e far divertire. Così, senza grosse pretese.
Sembra il caso dell’ultima opera di Almodovar Gli amanti passeggeri, ritorno dell’enfant terrible del cinema spagnolo alla follia, alla sregolatezza, a quell’allegro chiasso – apparentemente privo di ogni logica e razionalità – che ha marchiato i suoi anni ’80, così permeati da quell’espressività e da quella voglia di trasgredire a tutti i costi che portava con sé la movida post-franchista.
Tutto si svolge all’interno di un aereo della compagnia iberica “La Peninsula”, diretto in Messico. A bordo, in economy, decine di passeggeri schiacciati come sardine, separati giusto da una tendina dai pochi privilegiati, che comodamente siedono sulle lussuose poltrone della business. L’aereo spicca il volo ma ben presto emerge un problema tecnico ad uno dei carrelli: scatta l’emergenza, l’aereo deve atterrare ma, in attesa di trovare una pista libera per effettuare l’atterraggio d’emergenza; il velivolo è costretto a girare a vuoto intorno all’orbita di Toledo. E i passeggeri si trovano improvvisamente di fronte allo spettro della morte.
Raccontata così, la trama non sembra così diversa da quella di tanti “disaster-movie” che affollano la filmografia americana. In realtà fin dai primissimi fotogrammi si capisce immediatamente che il tenore è tutt’altro: i colori sgargianti rapiscono lo spettatore e lo catapultano in un’atmosfera colorata, queer, grottesca oltre ogni limite, dove il trash e l’irriverenza non sono un semplice espediente, ma unici fili conduttori che tengono insieme un mosaico di teatrini, gag, battute e situazioni ai limiti del surreale.

Eppure ciò che appare come un divertente (ma forse un po’ forzato) cabaret nasconde un’esigenza di catarsi: una purificazione da quella durezza introspettiva, arrivata al suo apice con il dramma La pelle che abito, ma anche una risposta alla decadenza odierna a suon di tequila, sesso ad alta quota e droghe nascoste in parti del corpo non proprio raccomandabili.

Continua>> di Andrea Viola su Inchiostro


Tea

Too simple to be true

Da un interessante articolo TOO SIMPLE TO BE TRUE, pubblicato nell’edizione di gennaio 2009 della rivista FRESH CUP ho potuto apprendere che una piccola parte della mia conoscenza intorno alla quantità di teina nel tè e al come ridurla era solo frutto di una tradizione che si è tramandata nel tempo nel mondo del tè ma infondata.

Due sono i miti sfatati in laboratorio. Si crede infatti che:

-la prima infusione di 30 secondi sia quella dove viene rilasciata maggiore teina. Per evitare di assumerne, quindi, che sia sufficiente gettare via la prima infusione. Con il gong fu cha, il gesto di lavar via le foglie viene consigliato per ridurre la teina nel tè.

-il tè verde ha minore quantità di caffeina rispetto al tè nero in quanto la concentrazione di questa sostanza è legata al processo di ossidazione.

La prima idea è stata smentita da una ricerca condotta da uno studente di chimica Micah Buckel in laboratorio che consisteva nell’analizzare la quantità di caffeina della prima e della seconda infusione con tempi di tre minuti di infusione ciascuna. Il risultato comunicava che dopo tre minuti di infusione, la caffeina andava via per il 46-70% ma non così tanto quanto creduto generalmente (30 secondi, 80% di caffeina).

Continua>> di Francesca su Unastanzatuttaper(il)tè



Vino

ROIJA RESERVA 2006 - D.O.Ca. - Marqués De Riscal


...più che una bella bevuta, mi rimane solo una bella bottiglia vuota sullo scaffale.

Questo é uno dei produttori spagnoli più famosi e conosciuti, tanto che può capitarvi di trovare alcuni dei suoi vini anche qui in Italia. Così, anche se in cuor mio, sapevo che stavo per acquistare un vino che non é proprio nelle mie "corde", mi sono autoconvinto, attirato dalla bella bottiglia retata e la voglia di provare un vino spagnolo della Rioja (oltre ovviamente al prezzo contenuto). Adesso a bottiglia stappata sono qui a raccontarvi, più o meno, di cosa si tratta.

Marqués de Riscal è una delle più antiche cantine della Rioja fondata da Guillermo Hurtado de Amezaga nel lontano 1858, e in breve tempo, grazie alle collaborazioni con enologi di Bordeaux, introduce nuovi vitigni di taglio bordolese e acquisisce le tecniche produttive dei maestri francesi, tanto da essere il primo vino "non francese" ad essere insignito del Diploma d'Onore all'Esposizione di Bordeaux. Da allora ai giorni nostri, con oltre 150 anni di storia vitivinicola alla spalle, questa "faraonica" bodegas ha fatto passi da gigante, diventando una cantina simbolo a livello internazionale, grazie anche al recente progetto "Città del Vino" inaugurato nel 2006, con la nuova e supermoderna struttura dell'architetto Frank O. Gehry, a dir poco spettacolare, il cui design ricorda il museo Guggenheim di Bilbao, il più famoso e conosciuto progetto firmato dal famoso architetto canadese.


Una cantina antica ricca di storia e tradizioni, ma sempre al passo con i tempi (e lo si sente anche nella sua Reserva), in continuo rinnovamento, sempre pronta ad acquisire nuovi vigneti e nuove fette di mercato internazionale. Non solo vino nella "Ciudad del Vino", ma anche un lussuoso hotel, un ristorante stellato, una spa dove si pratica la vinoterapia, enoteca, eventi, attrazioni turistiche ecc.... insomma, siamo distanti anni luce dall'idea del vignerons, della piccola cantina a conduzione familiare, il mondo del vino, quello rurale che più mi sta a cuore... provate a cercare una foto di questa avveneristica struttura, tanto bella a vedersi, diciamo pure una “figata”, ma che impatto ha una struttura del genere in un ambiente tipicamente agricolo? Insomma se mi sono permesso di criticare il cubo e l'acino di Ceretto, in quanto opere futuriste che poco hanno da spartire con l'immagine di Langa che porto nel cuore, figuratevi questa bodegas del futuro..

Continua>> su Simo diVino


Cucina

Empanadas di vigilia

Ingredienti:
Masa (pasta n.d.r.):
Vedere 'massa di base' 

Ripieno:
1 cipolla media
1 peperone verde
1 peperone rosso
2 uova sode
sale e pepe qb
3 o 4 cucchiaini di capperi
1 cucchiaino di paprika
350 grammi di tonno naturale
uovo per dipingere

Metodo di preparazione:

Continua>> di Beatriz su Ricette tradizionali argentine


Sport

Attraverso la Val Varenna




di Paolo Pelloni da Genova di Corsa







mercoledì 27 marzo 2013

Un Ballo in Maschera - Maratona Verdi 2013 - X

Una commedia con lati oscuri
"il più melodrammatico dei melodrammi"



Così la descrive Budden. 
E così D'Annunzio.


Parliamo di Un Ballo in Marschera! 
E stavolta scrivo con largo anticipo, perché - come sanno coloro che mi conoscono - a me non piace arrivare in ritardo. 


Drammatis Personae
qui c'è da fare un'annotazione: in corsivo scriverò i nomi secondo l'ambinetazione di Boston, mentre rimarranno "normali" quelli per quella svedese.

Gustavo III, Riccardo conte di Warwick - tenore 
Amelia, moglie di Anckarstroem - soprano
Anckarstroem, Renato, segretario del Re - baritono
Oscar, paggio del Re - soprano
Conte Ribbing, Samuel(e), nemico del Re - basso
Conte Horn, Tom(maso), nemico del Re - basso
Cristian, Silvano, marinaio - baritono
Mlle Arvidson, Ulrica, zingara - contralto
Un giudice - tenore
Un servo di Amelia - tenore
Popolani, gentiluomini

Durata circa 2 ore e 10 min. 
La prima rappresentazione si tenne a Roma al Teatro Apollo il 17 febbraio 1859.




Storia, caratteristiche e soggetto
Definita come la migliore opera di questo periodo, ovvero quello intermedio, in un equilibrio perfetto tra elementi d'ironia e quelli tragici e romantici.

La prima versione del libretto mutilato
Antonio Somma che era un letterato insigne, ma un librettista di fatto inesperto, apre a Verdi la possibilità, da lui tanto amata di essere presente e decisamente determinante nella stesura del testo. A differenza di Piave, che si sobbarcava settimane di lavoro in cambio dell'ospitalità a S.Agata e della cucina della Strepponi, Somma vuole restare a Venezia, evento che favorisce una fitta corrispondenza oggi preziosissima per lo studioso. Lo stile di Somma è platealmente manzoniano: non per questo, con le aggiustatine di Verdi, i versi riescono mediocri, anche se, nauseato dalle vicende censorie, rinuncerà a far apparire il proprio nome sotto il libretto, la cui paternità sulle prime fu attribuita dall'opinione pubblica a Piave, ormai diventato un'antonomasia del verso sciatto. Per il resto, questo libretto fu insultato per tutto l'800 fino alla riabilitazione critica ad opera di Francesco Flora nel 1952, caduti i pregiudizi in voga durante il periodo verista prima e carducciano poi sulla poesia teatrale di mezzo Ottocento; del lavoro di Somma si è allora cominciata a vedere la funzionalità non letteraria in sé e per sé ma in relazione alla drammaturgia, strettamente legata alla visione verdiana dell'opera in musica come maturava in quegli anni. Il ritmo e i tempi della versificazione erano stati studiatamente curati da Somma e Verdi in funzione della musica: una rivalutazione sotto questa luce del libretto del Ballo ha invertito addirittura negli ultimi anni i giudizi, restituendolo, forse con eccesso di entusiasmo, a capolavoro del genere. 
L'opera è in tre atti e fu scritta per il teatro di Napoli nel 1858; mentre erano in corso le prove però, il noto rivoluzionario italiano, Felice Orsini, attentò senza successo alla vita di Napoleone III e questo fece sì che non si potessero più mettere in scena opere che comprendessero l'assassinio di un Re. Già a metà novembre, la censura napoletana, ne richiese la modifica del luogo, la Svezia, e dello status del protagonista, declassato perciò a conte. Verdi però rifiutò di trasportare la vicenda nel XII secolo, periodo inconciliabile con l’indole di personaggi ironici e raffinati come il paggio Oscar e lo stesso protagonista. Fu tanta la censura dopo l'Orsini che al compositore fu proposto di musicare: Adelia degli Adimari, ambientata nella Firenze del XIV secolo, che doveva essere la sua amata opera. L'opera venne ritirata malgrado tutte le proteste - sotto peraltro il famoso motto "Viva V.E.R.D.I." (di cui non sto a ripetervi il significato per non darvi noia). Ricordi la vuole per La Scala di Milano. Però, fortunatamente, a Roma era in scena una commedia di Gherardi del Testa sul soggetto del Gustave III. Anche qui vennero eseguite alcune modifiche a causa della censura, ma erano accettabili quindi si andò in scena. In teatro ci furono una trentina di chiamate di cui una ventina per Verdi, applausi a scena aperta per tenore e baritono, coriandolini, fiori e serenate sotto la casa del maestro, un rituale non nuovo per Verdi; fallirono invece le parti femminili. La critica, invece, in cerca di rinnovamento, pensò che l'opera fosse troppo convenzionale - il libretto fu ritenuto ai limiti dell’assurdo per alcune espressioni e situazioni, privo di energia e con personaggi dal carattere scarsamente delineato. 

Il soggetto è stato scelto alla fine di un intenso lavoro di ricerca. Musicato già da Auber come Gustave III ou Le Bal masqué (Parigi 1833) e scritto quindici anni prima da Eugène Scribe per le scene francesi, fu riadattato e tradotto da Cammarano per Mercadante ed intitolato Il reggente (Torino 1843). 

Trama
(Atto primo) Riccardo ha organizzato per l’indomani una sontuosa festa in maschera con un ballo. Solo nelle sue stanze, scorre con trepidazione la lista degli invitati: Amelia, della quale è segretamente innamorato, non mancherà (“La rivedrà nell’estasi”). Mentre medita, combattuto tra l’amore e il timore di essere scoperto, sopraggiunge Renato. Riccardo trasale, ma l’amico vuole solo informarlo di una congiura ordita da Samuel e Tom (“Alla vita che t’arride”). Intanto, tra le sentenze da firmare, giunge un ordine di esilio per Ulrica, della quale Oscar non esita a decantare i prodigiosi poteri (“Volta la terrea fronte”). Riccardo, divertito ed eccitato, decide di recarsi con i suoi più fidi cortigiani sotto mentite spoglie a visitare l’indovina (“Ogni cura si doni al diletto”). Davanti all’antro di Ulrica la gente si raduna per udire le sue profezie (“Re dell’abisso, affrettati”). Riccardo, travestito da pescatore, si cela tra la folla. Silvano si lamenta con l’indovina di non avere mai ricevuto dal conte una ricompensa per i suoi servigi. Ulrica gli rivela che presto otterrà del denaro e un titolo: subito Riccardo, che vuole accreditare l’indovina, infila di nascosto quanto richiesto nelle tasche del suddito suscitando l’entusiasmo dei presenti. Giunge un uomo, che il conte riconosce come un servo di Amelia: la donna chiede un colloquio privato a Ulrica. Tutti si allontanano ma Riccardo, approfittando della confusione, si nasconde. Giunge Amelia, inquieta; chiede un rimedio per liberarsi da una passione illecita che la divora. Mentre Riccardo esulta, certo di essere amato, Ulrica consiglia ad Amelia di recarsi nottetempo presso il campo ove si eseguono le sentenze capitali: lì trovera un’erba che fa al caso suo (“Della città all’occaso”). Sopraggiungono gli amici del conte travestiti; tra loro sono anche Samuel e Tom, i cospiratori. Riccardo porge subito la mano a Ulrica (“Di’ tu se fedele”) ma l’indovina, dopo averla guardata, distoglie lo sguardo da lui, turbata. Il conte insiste e alla fine Ulrica cede, ma le sue parole gelano il sangue ai presenti: Riccardo morrà presto, non sul campo di battaglia ma per mano di un amico, di colui che per primo gli stringerà la mano (“È scherzo od è follia”). Il conte, per metà incredulo e per metà divertito, tra l’orrore dei presenti, sfida la terribile profezia offrendo a ognuno la sua mano. Solo Renato, sopraggiunto in quel momento, accetta di stringerla. A quel gesto tutti hanno un respiro di sollievo, mentre Samuel e Tom restano delusi: Renato è il più caro e devoto amico del conte, come credere a questo punto all’indovina? Riccardo si rivolge trionfante a Ulrica, che ha ormai riconosciuto in lui il conte, e se ne prende gioco: come credere a un’indovina che non ha riconosciuto subito il suo signore e che nulla sembra sapere di un ordine scritto di esilio che pende sulla sua testa? Mentre Riccardo, di ottimo umore, ricompensa ugualmente Ulrica, giunge Silvano attorniato dal popolo; ha riconosciuto nel marinaio il conte e vuole ringraziarlo dei doni ricevuti. Mentre tutti esultano solo l’indovina rimane turbata nella sua terribile certezza (“O figlio d’Inghilterra”). (Atto secondo) È notte. In preda all’angoscia, Amelia si aggira nel campo delle sentenze in cerca dell’erba di cui Ulrica le ha parlato (“Ma dall’arido stelo divulsa”), ma non è sola: Riccardo è giunto, desideroso solo di manifestarle il suo amore. La donna si schermisce e si tormenta: ama colui per il quale suo marito darebbe la vita, ma Riccardo insiste (“Non sai tu che se l’anima mia”) e alla fine Amelia cede ai sentimenti. Mentre gli amanti si abbandonano l’uno nelle braccia dell’altro (“Oh, qual soave brivido”) sopraggiunge Renato. Amelia, in preda all’agitazione più viva, si nasconde sotto un velo. Renato è in allarme: Samuel e Tom stanno ordendo l’ennesima congiura ai danni del conte; occorre partire. Riccardo non perde il suo sangue freddo: ordina a Renato di scortare la donna velata alle porte della città rispettando il suo anonimato e si allontana. Giungono i cospiratori. Irritati dal fallimento vogliono almeno scoprire l’identità della misteriosa donna velata. Inutilmente Renato ne difende a spada tratta l’anonimato: al culmine della concitazione il velo cade dal volto di Amelia rivelando a tutti la realtà (“Ve’, se di notte qui colla sposa”). Odio e vergogna opprimono l’animo di Renato che, desideroso di vendicarsi, convoca per l’indomani Samuel e Tom. Poi, con la morte nel cuore, l’uomo assolve l’ingrata richiesta dell’amico e si allontana con la moglie. (Atto terzo) Dopo un drammatico confronto con Amelia, Renato la condanna a morte ma le concede di rivedere per l’ultima volta il figlio (“Morrò, ma prima in grazia”). Rimasto solo, fissa con crescente emozione il ritratto del conte: no, non Amelia morrà ma Riccardo stesso (“Eri tu che macchiavi quell’anima”). Giungono Samuel e Tom; Renato si dichiara disposto a unirsi alla loro congiura. I due esitano, ma quando l’uomo offre la vita del figlio in pegno si convincono della sua buona fede. Ma chi ucciderà Riccardo? Tutti e tre hanno ottime ragioni per farlo. Quando Amelia rientra, Renato ha un’idea: sarà lei a estrarre il nome dell’assassino. La sorte designa Renato, che esulta. Sopraggiunge Oscar con l’invito al ballo in maschera, che Riccardo ha organizzato per la sera stessa. Renato propone ai congiurati di approfittare dell’occasione: la maschera renderà più facile la vendetta. Amelia, che ha ormai compreso, medita sul modo per salvare il conte. Intanto, nel suo gabinetto privato, Riccardo ha deciso: Renato ripartirà per l’Inghilterra ed egli non rivedrà mai più Amelia. Presagi funesti si mescolano al desiderio di rivederla un’ultima volta (“Ma se m’è forza perderti”). Giunge Oscar con una lettera di una donna che avverte il conte del complotto, ma Riccardo ha un solo desiderio: rivedere un’ultima volta Amelia (“Sì, rivederti Amelia”). Durante il ballo, Renato apprende da Oscar sotto quale maschera si cela il conte (“Saper vorreste”). Intanto Riccardo ha un colloquio con l’autrice della lettera, nella quale non tarda a riconoscere Amelia. I due, pur decidendo di lasciarsi per sempre, si dichiarano il loro amore (“T’amo, sì, t’amo, e in lagrime”) ma ormai è tardi: Riccardo cade, colpito a morte da Renato. Tra l’orrore dei presenti l’omicida è smascherato. Mentre Renato sente crescere dentro di sé la commozione e il rimorso, Riccardo gli si rivolge: Amelia è pura ed egli intendeva rinunciare per sempre a lei (“Ella è pura: in braccio a morte”); poi, perdonato l’amico di un tempo, il conte spira.
I
Curiosità ed approfondimenti

Il vero Re di Svezia, Gustavo III, amava l'arte ed era liberale dal punto di vista politico, era sposato anche se omosessuale anche se il ritratto che ne fa il compositore è molto convenzionale. 
Le influenze dell’opera francese sono molto forti.

Notevole, l’impiego di motivi conduttori: ad esempio, il tema di Samuel(e) e Tom(maso), in staccato, la preghiera di Amelia, enunciata nel terzetto con Ulrica e Riccardo e riproposta nel preludio al secondo atto e naturalmente il motivo dell’amore di Riccardo per Amelia. 
Come già aveva fatto da Rigoletto in poi, e come già facevano Donizetti e Mercadante negli ultimi tempi, Verdi tende a eliminare nel Ballo in maschera melismi e ornamentazioni, riducendo l'agilità e avvicinando, in ordine alle proprie concezioni del teatro, la parola cantata a quella parlata. Inoltre i tre personaggi principali sono ispezionati psicologicamente e necessitano di cantanti espressivi, duttili e recitanti: una recitazione artificiosa può trasformare quest'opera da autentico dramma a parodia di se stessa. Fra le voci secondarie, l'unica a mantenere qualche carattere del belcanto tradizionale è Oscar, l'alter ego spensierato di Riccardo, soprano leggero e brillante con fioriture (e caso raro di soprano per una parte en travesti, e ancora Mercadante nel "Reggente" aveva usato il contralto). Ulrica ha estensione da contralto (Sol2-Lab4), priva di melismi eccetto qualche passo di È lui è lui.
La maturazione del linguaggio melodrammatico portò Verdi all’uso di armonie raffinate, orientate in senso coloristico (si pensi alle pagine di Ulrica o allo splendido preludio al secondo atto), all’aggiornamento di talune formule del repertorio tradizionale (soprattutto nel duetto tra Riccardo e Amelia nel secondo atto) e all’approfondimento drammatico del monologo (quello di Amelia al principio del secondo atto e soprattutto quello di Renato all’inizio del successivo), che perde rigidità formale e acquista una notevole flessibilità di scrittura: dal declamato melodico all’arioso, all’aria, all’impiego in senso espressivo delle pause e del fraseggio.
Nel corso dell’Ottocento l’opera divenne una delle più amate e rappresentate di Verdi, nonostante due caratteristiche in genere inconciliabili con le possibilità dei teatri minori: la presenza di ben cinque personaggi importanti in scena e la necessità di reperire tre voci femminili (Amelia, Oscar e Ulrica) tutte tecnicamente dotate e di diverso carattere. Al contrario, dagli anni Venti del Novecento, si è giovata meno di altre della cosiddetta Verdi Renaissance poiché lo stile eterogeneo di cui si è detto ha fatto pensare, a torto, a superficialità e a scarso approfondimento psicologico. Più di recente, si è riconosciuto a quest’opera il merito di avere espresso una riuscita sintesi tra esigenze di equilibri formali e nuovi elementi stilistici, e la si è giustamente collocata tra i capolavori della maturità di Verdi.



Riccardo
Il tenore del Ballo è piegato finalmente, come Verdi aveva già incominciato a fare con le parti baritonali, a inflessioni e sfumature psicologiche, che per la voce di tenore erano respinte dalle tradizioni belcantistiche, cui erano riservate parti giovanili baldanzose e tecnicamente poco lavorabili perché spesso impegnate in falsettoni e zone sovracute. L'estensione di Riccardo va dal Do2 al Sib3, ma la tessitura è quasi sempre bassa tranne nel quintetto del primo atto, con incursioni ripetute al Lab3; la parte non richiede quindi un tenore con registro superiore sviluppato, in accordo qui con la scelta del protagonista della prima del 1859, Gaetano Fraschini. In compenso però i tenori di forza trovano enormi difficoltà a rendere la complessità psicologica del personaggio, che richiede assolutamente leggerezza, mezzevoci, pulizia negli abbellimenti e nelle acciaccature, inflessioni espressive variatissime dalla veemenza alla dolcezza sommessa. Si noti la necessità di interpretare, per il cantante, momenti di psicologia come È scherzo od è follia, ove si passa dallo sconcerto all'esorcizzazione della morte, le sfumature psicologiche dell'amore, o tutta la parabola degli ultimi due quadri del terzo atto. Va infine notato che Riccardo ha una naturale propensione a giocare con il pericolo: lo fa all'inizio con Renato, nello scambio di battute sull'angoscia che lo opprime, poi andando nell'antro di Ulrica, poi ancora indugiando nel secondo atto quando incombe l'arrivo dei congiurati, infine impipandosene dell'avviso di lasciar perdere il ballo mascherato.

Renato
Si tratta del baritono verdiano che già conosciamo dai tempi di Germont: un baritono cantante, con elevazioni liriche a registri quasi tenorili. Si potrebbe anche vedere in lui la figura centrale della vicenda, nella sua colorazione psicologica, nelle manifestazioni estreme della personalità, nella posizione cardinale che occupa nell'evoluzione della vicenda, ed è in Renato che si materializzano e si esprimono le lacerazioni fra bene pubblico e felicità privata. A questo baritono sono affidati due momenti fra i più alti dell'opera, il cantabile Alla vita che t'arride e l'aria Eri tu che macchiavi: in quest'ultima si avverte lo sconvolgimento psicologico principale che lo attraversa da quando, svilito bestialmente dall'onta delle corna (Ei m'ha la donna contaminato! canta nel finale del secondo atto), passa dalla volontà di vendetta sulla moglie alla pietà per questa, che gli ha appena implorato di rivedere il figlio prima di morire, e alla decisione di riversare l'aggressività verso Riccardo: come, per un nobile sentimento di pietà, il destino fa il suo lavoro! Quest'aria, giustamente celebre quanto difficilissima nell'interpretazione, affianca ai drammatici squilli del recitativo le mezzevoci e i gruppetti acuti del canto, intessuti a nostalgici abbandoni. Renato ha, in alcuni momenti dell'opera, momenti difficili: note ribattute in zona acuta e alcuni attacchi scoperti (in Sol3).

Amelia
Il modello del soprano che canta la parte di Amelia è la celeberrima Marie Cornélie Falcon, vedette del Grand-Opéra parigino, eponima di un tipo sopranile (alla "Falcon" appunto) con centri sicuri e robusti ma capace di svettare in zone elevate, fino al Do5; di fatto la Falcon era un mezzosoprano chiamata talora per spettacolarità a registri sopranili. I tecnici della vocalità dicono che con Amelia Verdi passa definitivamente dal soprano drammatico d'agilità (Abigaille, Eleonora) al soprano drammatico "di forza" (come poi Elisabetta nel Don Carlos e di fatto come la wagneriana Isolde). Amelia alterna perciò momenti quasi da mezzosoprano a pure melodie sopranili: nel primo caso in Ma dell'arido stelo, il terzetto Odi tu come fremono cupi (atto II), l'aria Morrò, ma prima in grazia (atto III); nel secondo il duetto d'amore del II atto e la scena della congiura.
QR del libretto

Libretto in formato web e pdf.

Spartito, parti e partitura qui.  




Discografia
1956 Giuseppe Di Stefano, Maria Callas, Tito Gobbi, Fedora Barbieri, Eugenia Ratti - Antonino Votto 
1960 Carlo Bergonzi, Birgit Nilsson, Cornell MacNeil, Giulietta Simionato, Sylvia Stahlman - Georg Solti 
1966 Carlo Bergonzi, Leontyne Price, Robert Merrill, Shirley Verrett, Reri Grist - Erich Leinsdorf
1970 Luciano Pavarotti, Renata Tebaldi, Sherrill Milnes, Regina Resnik, Helen Donath - Bruno Bartoletti 
1979 José Carreras, Montserrat Caballé, Ingvar Wixell, Patricia Payne, Sona Ghazarian - Colin Davis 
1980 Luciano Pavarotti, Margaret Price, Renato Bruson, Christa Ludwig, Kathleen Battle - Georg Solti 
1998 Placido Domingo, Katia Ricciarelli, Renato Bruson, Elena Obraztsova, Edita Gruberova - Claudio Abbado
2006 Massimiliano Pisapia, Chiara Taigi, Franco Vassallo, Anna Maria Chiuri, Eunyee You - Riccardo Chailly



lunedì 25 marzo 2013

da anNOTAre - 5


Più in basso gli eventi della settimana! :)

IN CORSO...


da Sabato 2 al 30 Marzo
Manifestazione Parchi in fiore a Genova Pegli a Villa Pallavicini e il Museo di Archeologia Ligure30 marzo Parco di Villa Doria - Grotta dell'Archeologia - ore 15 Visita guidata all'isola di Villa Doria ingresso libero - ore 15 - 17 Piante, essenze e fiori… momenti e attività di vita preistorica nella Grotta dell'Archeologia è gradita la prenotazione tel. 010 6984045


da Giovedì 7 Marzo al 1 Aprile 
Mostra a La Feltrinelli sull'inconscio femminile, a cura del Circolo Fotografico Arci Il forte.
I fotografi: Antonella Guiducci, Antonietta Preziuso, Donato Aquaro, Enrico Maniscalco, Gian Luigi Suman, Laurence Chellali, mriagrazia Franzosi, Matteo Facchineri, Maurizio Logiacco, Paola Betti, Sandra Argurio, Sebastiano Calabrò, Sibilla Fanciulli, Silvana Mazzi, Stefano Pedemonte.



da Venerdì 8 Marzo al 1 Maggio.
A castello D’Albertis la mostra “Tutto Ri-suona”
Dopo l'inaugurazione venerdì 8 Marzo, la mostra rimarrà in esposizione fino al 1 Maggio 2013.
Chi non ha mai provato un impulso irrefrenabile a produrre suoni e rumori? Chi non ha osservato come un bambino piccolo goda dell'effetto sonoro da lui stesso prodotto quando strilla a pieni polmoni o batte ripetutamente un oggetto? Chi non si è incantato ad ascoltare la natura battendo pietre o legnetti, scuotendo gusci di conchiglie, accartocciando foglie secche?
La mostra è frutto della collaborazione fra il Museo delle Musiche dei Popoli (Echo Art), il mastro giocattolaio Roberto Papetti di Ravenna e il dipartimento Arte Musica della scuola secondaria Don Milani di Genova, ciascuno curatore di una delle tre sezioni in cui si articola la mostra, coordinata dalla Direzione del Museo e dai Servizi Educativi e Didattici.
La sezione di apertura Giocattoli sonori, curata da Roberto Papetti, offre oggetti trovati o fatti in casa, elementari, curiosi, innovativi, realizzati con materiali di riciclo e di facile reperimento, costruiti per il gioco esplorativo delle sonorità del mondo.
Suona il riciclo, curata dagli studenti delle classi seconde e dai docenti del Dipartimento Arte Musica della Scuola Secondaria 'don Milani', racconta le tappe di un percorso didattico-laboratoriale finalizzato alla realizzazione di strumenti musicali con materiali di riciclo e di uso quotidiano.
Le curiose percussioni multi sonore e i variopinti strumenti a corde, frutto della creatività e della manualità degli studenti a partire da bicchieri, bottiglie e tubi di plastica, cartoni e lenze, riso e chiodini, sono esposti in puntuale contrappunto e dialogo con strumenti tradizionali originali selezionati daEcho Art.
Nel periodo della mostra sono previsti incontri e proiezioni che vedranno nuovamente protagonisti i curatori delle sezioni con approfondimenti tematici, fornendo occasioni per avvicinarsi ad esperienze musicali in una dimensione di benessere psico-fisico. 
In particolare, con ingresso gratuito:
Mercoledì 10 Aprile ore 16.30-19
“Una cultura musicale si basa sulle persone stesse che la eseguono, le loro idee, le loro azioni e il suono che producono” ( Merriam 1964 ). 
Martedì 16 Aprile ore 16.30-19.00 
Etnomusicologia e Musicoterapia, a cura di Davide Ferrari (Echo Art).
Un incontro rivolto ai docenti e agli educatori interessati a conoscere percorsi e attività didattiche con metodologia laboratoriale ed espressiva, a cura di Chiara Cipolli e Monica Terminiello, docenti del dipartimento Arte Musica, scuola secondaria ‘don Milani’.
Specifiche attività saranno rivolte alle scolaresche(info e prenotazioni 010 5574748)
Attività gratuite curate dai Servizi Educativi e Didattici del Settore Musei in collaborazione con Echo Art, biglietto d’ingresso al museo 3€

Dove: Castello D’Albertis, Corso Dogali 18 - Genova
Quando: in esposizione fino al 1 maggio 2013 con orario: martedì, mercoledì, giovedì e venerdì 10-17 (ultimo ingresso ore 16) sabato e domenica 10-18 (ultimo ingresso ore 17)
Biglietti: Intero € 6,00 - Ridotto (ragazzi 5-12 anni e >65 anni) € 4,50 Ridotto socio “Amici del Castello D’Albertis” € 3,50 Gratuito bambini 0-4 anni
gruppi (1 gratuità ogni 25 paganti) € 4,50 ridotto per scolaresche (ragazzi 5-18) € 3,00

E’ consigliata la prenotazione


da Sabato 9 Marzo 
Il Drago Verderame al Museo Diocesano dalle 15,30 alle 17,30 ogni sabato pomeriggio fino ad aprile, animazioni per bambini dai 5 e gli 11 anni

Tornano le avventure del Drago Verderame: un modo nuovo e coinvolgente per accostare i bambini al patrimonio culturale della nostra città, attraverso giochi laboratori e attività ispirate al Medioevo genovese.

Gli incontri, che si terranno ogni sabato pomeriggio (con orario 15.30 – 17.30) nei mesi di marzo e aprile, sono rivolti ai bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni.

Dopo il successo riscosso dagli incontri passati, Ianua Temporis torna a proporre nuovi ed imperdibili intrattenimenti, mirati ad iniziare i più piccini alle meraviglie dell’arte e alle imprese avventurose del Medioevo.

La rievocazione storica, supportata dai costumi e dall’affascinante cornice del Chiostro dei Canonici, trasforma il gioco in un indimenticabile tuffo nel passato.

Tanti appuntamenti per nuovi e nuove aspiranti cavalieri per impratichirsi nell’uso delle spade di legno, intrepidi castellani e vivaci dame per un ciclo di esperienze uniche che permetteranno loro di giocare, imparare e divertirsi.
Laboratorio su prenotazione, la quota di partecipazione è di € 8.
Durante le attività, che possono essere fruite senza l’assistenza degli adulti, gli accompagnatori possono scegliere di visitare gratuitamente il Museo.
A cura di Arti&Mestieri e Ianua temporis.

Dove: Museo Diocesano, Chiostro dei Canonici, via T. Reggio 20r - Genova
Quando: da sabato 9 marzo 2013 alla fine di aprile, dalle ore 15,30 alle ore 17,30
Info: tel. 0102475127 - info@museodiocesanogenova.it


Ora
Filippo Romoli, mostra alla Wolfosoniana di Genova Nervi

Di Filippo Romoli viene presentata una selezione della sua attività di illustratore e cartellonista. Assunto giovanissimo dalla Società Industrie Grafiche Barabino & Graeve di Genova, cui è legata la grande stagione del turismo in Liguria, l'artista savonese fu attivo in particolare nell'ambito della promozione turistica: delle principali mete di villeggiatura liguri (Alassio, Rapallo, Varazze, Santa Margherita, Ventimiglia, Bordighera, Diano Marina, Loano), ma anche nazionali (Abbazia, Riccione, Cattolica, Asti, Pila).
Il suo impegno si dispiegò anche per alcuni importanti enti e aziende (Comune di Genova; società di navigazione come Cosulich, Lauro e Home Lines; ALI-Flotte riunite italiane; CIT Viaggi; società Lazzi-Gran Turismo), mentre, sul versante pubblicitario, per alcuni grandi industrie, come Marelli, Berio, Gaslini, Negroni e Galbani.
Si è optato, infine, per una piccola selezione di bozzetti di materiale promozionale di minor formato (per dépliant, brochure, cartoline, ecc.) per hotel e alberghi di varie località italiane (da Cortina a Salsomaggiore), concludendo con alcuni prototipi di insegne che venivano usati nelle vetrine e all'interno delle agenzie di viaggio e degli enti preposti alla promozione turistica.
Ingresso: 5€


da Giovedì 21 al 31 Marzo 
Una forma ecologica di arte contemporanea che riveste ringhiere, alberi, panchine e altri arredi urbani del Porto Antico di Genova di lana e colore: questo è lo Yarn Bombing, letteralmente 'bombardamento di filati', una nuova forma d’arte che nasce nelle strade degli Stati Uniti nel 2005 che ha l'obiettivo di colorare le città vestendole con installazioni in lana e cotone.
L'evento arriva anche a Genova negli ultimi dieci giorni di marzo, dal 21 al 31, e vede la partecipazione di un grande numero di soggetti e di target diversi: giovani volontari di servizio civile, giovani artisti e associazioni giovanili, associazioni culturali della terza età, i centri sociali per anziani, strutture residenziali e strutture culturali territoriali quali biblioteche, musei, centri civici.
Il progetto, oltre agli aspetti scenografici, artistici e spettacolari, presenta una forte valenza sociale ed intende perseguire obiettivi importanti quali la coesione sociale, la socialità, l’intergenerazionalità, l’intercultura.
Una volta conclusa la manifestazione, il primo di Aprile, i materiali verranno tutti recuperati mentre quelli danneggiati saranno utilizzati come imbottiture per trapunte da distribuire agli homeless oppure alle strutture di ricovero per animali.
«Vorrei dare un segnale di grande apprezzamento per questo progetto - ha detto l'assessore alla cultura del Comune di Genova Carla Sibilla - che ha visto lavorare insieme mille uomini e donne di tutte le eta'. Va sottolineato come il progetto, oltre gli aspetti scenografici, artistici e spettacolari, presenta una forte valenza sociale e intende perseguire obiettivi importanti quali la coesione sociale, la socialita' e l'intergenerazionalita».


dal 28 Marzo all'1 Aprile
Santa Boat Show a Santa Margherita Ligure (VII edizione) ovvero il salone dell’usato nautico di qualità
In esposizione, decine d’imbarcazioni, pronta consegna, prevalentemente a motore, seminuove o usate "di qualità" dei principali cantieri, nazionali ed esteri, da parte di brokers, dealers, operatori di marine e cantieri Navali.
Saranno presenti anche stand espositivi a terra.
L'inaugurazione Giovedì 28 Marzo alle ore 11. Domenica 31 Marzo alle ore 16.30, è prevista la quarta edizione del premio Santa Boat Show I Grandi della Nautica, assegnato all’imprenditore Mario Spertini e al progettista Carlo Riva.
Per tutti i cinque giorni è in esposizione la mostra d’arte di Gianna Delfino con opere in ceramica e non, ispirate al mare, ai suoi abitanti e ai rapporti dell’uomo con esso. Il 29 marzo è invece in programma per l'ora di cena Una Rotonda sul Mare, con musica dal vivo proposta per gli ospiti dei ristoranti di Calata del Porto.


da Mercoledì 27 Marzo al 3 Aprile
Rapallo ospita il tradizionale appuntamento con la Pasqua in Fiore con addobbi e creazioni floreali nelle vie del centro.


da 15 Venerdì Marzo al 30 Giugno
Le incredibili macchine di Leonardo, mostra delle macchine funzionanti tratte dai codici di Leonardo da Vinci al Museo di Sant'Agostino di Genova
Un evento per entrare in contatto con il mondo sia umano che professionale di uno dei personaggi più emblematici della storia dell´umanità e con le sue invenzioni.
Le macchine dedicate alla meccanica sono interattive e possono essere usate dal pubblico, favorendo così una presa di contatto diretta della poliedrica e pragmatica attività di un uomo e contribuendo a sfatare il mito del genio distante dal quotidiano, raccontando il suo lavoro pratico ed intelligente.

Inoltre il visitatore può scoprire opere scultoree, pittoriche e affreschi che trovano un´ambientazione suggestiva e ideale negli ampi, luminosi spazi dell´ex complesso monastico restaurato. Nel percorso si possono ammirare capolavori di scultura, fra gli altri, di Giovanni Pisano e Pierre Puget, tele e affreschi dei maggiori artisti che operarono nel ´500 e nel ´600 in Genova e nell´area ligure (Luca Cambiaso, Domenico Fiasella).

mercoledì 20 marzo 2013

Aroldo - Maratona Verdi 2013 - IX


Ok! Con un po' di fatica, ma ce l'ho fatta anche questa volta, benché - in effetti - un bel po' in ritardo!
Dunque, proseguiamo il nostro percorso maratonico e parliamo un po' di un'opera non troppo considerata del nostro grande Verdi: Aroldo.
Nella cronologia, essa, è la diciannovesima, o meglio, la ventitreesima se nel catalogo aggiungiamo anche Jerusalem (rifacimento per l'Opera di Parigi de I Lombardi), Stiffelio (della quale Aroldo è il rifacimento) ed il primo Simone (che figura ufficialmente nel rifacimento del 1881). Non che ci interessi molto il numero di catalogo, a dir la verità!


Caratteristiche, curiosità, prima e fonti

Aroldo segue il "non piaciuto" Simone di Venezia nel marzo del 1857 e va in scena per la prima volta al Teatro Nuovo di Rimini nell'Agosto del 1857 dove viene applaudito da un folto pubblico, per poi essere rappresentato anche a Bologna, come nelle prime intenzioni di Verdi, Torino e Napoli.

Verdi doveva assolvere ad una vecchia promessa alla città di Rimini. Scartata una proposta caldeggiata dalla direzione del Teatro Nuovo, riguardante il "patrio soggetto" della Francesca (da Rimini) Verdi ripensò, perciò, al suo vecchio Stiffelio che sette anni prima aveva fatto fiasco a Trieste, perché presentato in una edizione completamente tagliata e rimaneggiata in maniera brutale sia dalla censura austriaca che da quella ecclesiastica. 


Lo Stiffelio viene rispolverato e riadattato da Francesco Maria Piave che trae ispirazione da Il fidanzato di Walter Scott, che aveva per protagonista un crociato, e l’Ardoldo di Bulwer-Lytton.


Per farvi capire quanto fosse pressante la censura sappiate che lo stesso anno venne rappresentata, nello stesso teatro, la Lucrezia Borgia di Donizetti sotto il titolo, imposto, di Eustorgia da Romano.
Aroldo, poi, confronto al suo originale (s'intende lo Stiffelio) presenta moltissime modificazioni, ad esempio: il protagonista non è più un sacerdote ma un guerriero reduce dalla Palestina, l'azione si svolge intorno al 1200, il terzo atto viene diviso in due, buona parte del materiale rimane invariata con l'aggiunta o la sostituzione di pochi pezzi, il quarto atto è completamente nuovo.

(In breve) Dramma lirico in quattro atti su libretto di Francesco Maria Piave, rifacimento dello Stiffelio.
Prima: Rimini, Teatro Nuovo, 16 Agosto 1857.


Drammatis Personae
Aroldo, cavaliere sassone - tenore
Mina, di lui moglie, figlia di Egberto - soprano
Egberto, vecchio cavaliere, vassallo di Kenth - baritono
Briano, pio solitario - basso
Godvino, cavaliere di ventura ospite d'Egberto - tenore
Enrico, cugino di Mina - tenore
Elena, sua cugina - mezzosoprano
Jorg, servo d'Aroldo - mimo
Cavalieri crociati, gentiluomini e dame, paggi, cacciatori, Sassoni, paesani scozzesi

Primi del 1200 - Scozia


Trama: 

(Atto I) Sala nel castello di Egberto nel Kent. Il vecchio cavaliere Egberto ha organizzato un banchetto in onore di Aroldo, suo genero, che é appena tornato dalla crociata in Palestina: dall'interno si odono canti che inneggiano alla vittoria di Aroldo sui saraceni. In preda a una forte agitazione, esce dalla sala del banchetto Mina, figlia di Egberto e moglie di Aroldo: mentre il marito era in guerra, gli é stata infedele, lasciandosi sedurre da Godvino, uno degli ospiti del padre; ora che Aroldo é tornato si sente oppressa dal rimorso e prega il cielo perché l'aiuti. La raggiunge Aroldo, accompagnato dal pio Briano, divenuto suo amico inseparabile da quando gli salvò la vita in Palestina. Rimasti soli, Aroldo racconta a Mina come, mentre era via, pensasse continuamente a lei. Queste parole aumentano il senso di colpa di Mina, che scoppia in lacrime. Aroldo si stupisce di non vederle al dito l'anello nuziale e le domanda dove sia: la donna non risponde. Chiamato da Briano, Aroldo esce. Mina resta sola e si abbandona su una sedia con il volto tra le mani. Non visto, giunge Egberto, il quale comprende, dal malessere della figlia, che i suoi sospetti su Godvino sono fondati. Mina decide di scrivere una lettera di confessione al marito, ma è interrotta dal padre, che le consiglia di non rivelare niente ad Aroldo se non vuole farlo morire di dolore. Godvino, vedendo che Mina lo ignora mentre lui la ama ardentemente, ha deciso di scriverle una lettera. Questa viene lasciata in un libro chiuso da un fermaglio, che sta sulla tavola, e di cui egli possiede la chiave. La scena è vista a distanza da Briano, che pensa di riconoscere in Godvino un amico di Aroldo. La sala intanto si va riempiendo di invitati. Tra questi c'è Enrico, il cugino di Mina. Briano, convinto che si stia attentando all'onore di Aroldo, rivela all'amico ciò che ha visto, ma identifica erroneamente l'uomo che ha messo la lettera nel libro con Enrico, che è vestito come Godvino. Aroldo controlla a stento il suo furore. Intanto gli invitati gli si affollano intorno, congratulandosi con lui, ed Egberto chiede al genero di raccontare le gesta di re Riccardo in Palestina. Ma Aroldo preferisce narrare la storia di un uomo che, chiudendo uno scritto in un libro, insidiò l'onore di un amico; una storia simile, prosegue, è raccontata anche in quel libro posto sulla tavola e chiede a Mina la chiave per aprirlo. Gli ospiti sono sconcertati: al rifiuto della donna, Aroldo rompe il fermaglio e cade a terra una lettera. Egberto la raccoglie, ma si rifiuta di consegnarla al genero. Aroldo inveisce contro il vecchio, nonostante Mina lo preghi di rispettarne l'età. Egberto intanto, senza farsi sentire dai presenti, invita Godvino a raggiungerlo più tardi al cimitero per sfidarlo a duello.
(Atto II) Quella stessa notte Mina, in preda al rimorso, cerca conforto sulla tomba della madre: implorante si rivolge a lei perché l'aiuti a ottenere il perdono da Dio. La sorprende Godvino: nonostante la donna lo inviti a non profanare quel luogo sacro, egli le dichiara il suo amore; Mina lo respinge, chiedendogli di restituire l'anello; all'ostinato rifiuto di Godvino, essa minaccia di dire tutto al marito. Ma irrompe Egberto e impone nuovamente alla figlia di non rivelare ad Aroldo la verità; quindi sfida a duello Godvino: questi dapprima rifiuta di battersi con un vecchio; poi, provocato dai suoi insulti, accetta lo scontro. Attirato dai rumori del combattimento, giunge Aroldo e ordina ai due uomini di deporre le spade. Tentando di farli riconciliare dice a Godvino, più giovane, di gettare per primo la spada, quindi lo disarma e gli stringe la mano. Ma Egberto inorridisce e rivela al genero che ha dato la mano a chi l'ha tradito. Aroldo rimane stupefatto: chiede alla sopraggiunta Mina di discolparsi; ma di fronte all'ostinato silenzio della moglie, afferra la spada di Egberto e sta per assalire Godvino, quando ode dalla chiesa le voci dei fedeli che intonano il Miserere. Giunge quindi Briano e ricorda all'amico che un cristiano ha il dovere di perdonare: trascinandosi ai piedi di una croce, Aroldo cade svenuto.
(Atto III) Egberto apprende che Godvino è fuggito e ha lasciato alla figlia una lettera in cui la prega di raggiungerlo. Oppresso dalla vergogna per non essere riuscito a vendicarsi, Egberto sta per togliersi la vita, quando giunge Briano a comunicargli che Godvino, catturato, sta per ritornare al castello. Egberto, già pregustando la vendetta, si abbandona a una gioia sfrenata. Entra Aroldo con Godvino: il crociato gli domanda cosa farebbe se Mina fosse libera dal suo vincolo coniugale, ma l'altro non crede possibile una tale evenienza. Aroldo lo fa allora passare in una stanza vicina perché possa ascoltare la conversazione tra lui e sua moglie. Mandata a chiamare, Mina entra: Aroldo dice alla donna che è ormai venuto meno il fondamento della loro unione, cioè l'amore; le porge quindi una richiesta di divorzio da firmare. Essa, in lacrime, dapprima si oppone; poi, irritata dai rimproveri del marito, accetta. Ma ora che non è più suo marito, gli chiede di ascoltare la sua confessione in qualità di giudice: essa è stata indotta all'adulterio con l'inganno, ma in cuor suo gli è rimasta sempre fedele. Aroldo, colpito, è incerto se punire Godvino con la morte. Ma, in quel momento, giunge Egberto con la spada insanguinata: ha ucciso lui il traditore. Briano e Aroldo vanno a pregare in chiesa, mentre Mina invoca nuovamente il perdono divino.
(Atto IV) Valle in Scozia. È sera. Pastori, donne e cacciatori scendono dai monti cantando; anche Aroldo e Briano fanno ritorno alla loro modesta dimora, dove ora vivono lontano dal mondo: la serenità del luogo acuisce per contrasto il tormento di Aroldo, ancora innamorato della moglie. Non appena la campana della chiesa del villaggio suona l'Ave Maria i due uomini si inginocchiano a pregare; entrano quindi in casa. Il levarsi di un forte vento, che agita le acque del vicino Lago Loomond, annuncia burrasca. Scoppia infatti l'uragano, proprio nel momento in cui sta portandosi a riva una barca. Gli abitanti del villaggio si affrettano a gettare una fune per trarla in salvo e, dopo vari sforzi, la barca riesce ad approdare. Da essa scendono Mina ed Egberto. Cercando rifugio, bussano alla porta della casa di Aroldo. Egli apre e, vedendo sua moglie, tenta di respingerla; ma Mina lo supplica di perdonarla. Anche Egberto implora pietà. Ancora una volta Briano ricorda all'amico i suoi doveri cristiani, invitandolo al perdono. Come ispirato dal cielo, Aroldo perdona Mina. I due si abbracciano: la divina legge dell'amore ha trionfato.
QR del libretto

Libretto in formato web e pdf.


Spartito, partitura, parti qui.



1951 Vasco Campagnano, Maria Vitale, Rolando Panerai, Felice de Manuelli -  Arturo Basile,Orchestra Sinfonica e Coro di Torino della RAI
2001 Neil Shicoff, Carol Vaness, Anthony Michaels-Moore, Roberto Scandiuzzi - Fabio Luisi, Orchestra e coro del Maggio Musicale Fiorentino
2003 Gustavo Porta, Adriana Damato, Franco Vassallo, Enrico Giuseppe Iori - Piergiorgio Morandi, Orchestra della Fondazione Toscanini


Vi segnalo anche:

http://www.rotaryriminiriviera.org/pubblicazioni.html
 
A presto,
Giorgia
Il rientro è davvero duro!
Tremila cose da fare e poco tempo per farle!
Ci rivediamo la settimana prossima con tutte le rubriche! A presto!
Giorgia

lunedì 18 marzo 2013

Plain White T's - Hey There Delilah



Se cercate una canzone vecchiotta ma tutt'ora recente "Hey There Delilah" della band Plain White Ts', band pop-alternative rock, fa al caso vostro. Il singolo tratto dal loro terzo album del 2008, "All That We Needed", ha scalato numerose classifiche internazionali ed è stata candidata ai Grammy Awards.
Sia il video che la musica del brano sono all'insegna della semplicità: una chitarra e una voce calda accompagnano l'ascoltatore attraverso la tristezza, la speranza e i kilometri di distanza tra due giovani ragazzi. Il leadership si è ispirato ad un'atleta, Delilah DiCrescenzo, che l'aveva rifiutato.

           


Link del video: http://www.youtube.com/watch?v=EbJtYqBYCV8

Testo:

Hey there Delilah
What's it like in New York City?
I'm a thousand miles away
But girl, tonight you look so pretty
Yes, you do
Times Square can't shine as bright as you
I swear it's true

Hey there Delilah
Don't you worry about the distance
I'm right there if you get lonely
Give this song another listen
Close your eyes
Listen to my voice
It's my disguise
I'm by your side

Oh, it's what you do to me
Oh, it's what you do to me
Oh, it's what you do to me
Oh, it's what you do to me
What you do to me

Hey there Delilah
I know times are getting hard
But just believe me, girl
Someday I'll pay the bills with this guitar
We'll have it good
We'll have the life we knew we would
My word is good

Hey there Delilah
I've got so much left to say
If every simple song I wrote to you
Would take your breath away, I'd write it all
Even more in love with me you'd fall
We'd have it all

Oh, it's what you do to me
Oh, it's what you do to me
Oh, it's what you do to me
Oh, it's what you do to me

A thousand miles seems pretty far
But they've got planes and trains and cars
I'd walk to you if I had no other way
Our friends would all make fun of us
And we'll just laugh along because
We know that none of them have felt this way

Delilah, I can promise you
That by the time that we get through
The world will never ever be the same
And you're to blame

Hey there Delilah
You be good and don't you miss me
Two more years and you'll be done with school
And I'll be making history like I do
You'll know it's all because of you
We can do whatever we want to
Hey there Delilah
Here's to you
This one's for you

Oh, it's what you do to me
Oh, it's what you do to me
Oh, it's what you do to me
Oh, it's what you do to me
What you do to me

domenica 17 marzo 2013

Pollini Vs Battistoni



Ahhhh che bella settimana! Il Carlo Felice mi ha offerto due chicche che mi sono potuta godere appieno: mercoledì sera il teatro ha ospitato niente meno che il grande pianista italiano Maurizio Pollini che si è esibito con un programma interamente dedicato a Beethoven (niente Chopin, peccato!), mentre invece venerdì pressapoco alla stessa ora il mitico Andrea Battistoni è tornato a guidare l'orchestra proponendo un programma importante ed imponente dedicato, invece, a S. Barber, R. Wagner e G. Mahler.
Allora, cominciamo con il pianista! Il Maestro Pollini ha suonato le ultime tre sonate di Beethoven, la 109, 110 e la 111, e come bis ha proposto- sempre di Beethoven- delle Bagatelles. Queste ultime tre sonate sono, penso, tra le composizioni pianistiche più interessanti e complesse. Tutte, ed in particolar modo l'ultima, sono state lavorate alungo dall'autore tedesco, che inizialmente si era accordato con l'editore Schlesinger di comporle nell'arco di tre mesi e a cui poi, invece, aveva dedicato poco più di due anni.

Per quanto il mio senso artisticosia assolutamente discutibile, devo dire che l'interpretazione del Maestro delle prime due sonate è proprio distante dalla mia concezione di questi pezzi. La dinamica delle frasi e i colori erano diversi da come me li aspettavo eseguiti da lui, visto anche che dalle sue registrazioni paiono diverse da come poi le ha suonate, ma in ogni caso ho trovato questa variazione di carattere interpretativo molto interessante! D'altro canto non si può sempre rimanere ancorati alle proprie idee, sperimentare ed ascoltare pensieri diversi è molto utile :)) Per quanto riguarda l'ultima sonata posso dire di essere rimasta completamente soddisfatta! E' stato proprio un piacere ascoltarla, visto e considerato poi che è tra le mie tre sonate di Beethoven preferite! L'apice vero e proprio, però, del Maestro Pollini è stato secondo me, senza dubbio, l'ultimo tempo della sonata. La cosa interessante e particolare di questa composizione è che consiste "soltanto" in due tempi: sappiamo che sicuramente all'inizio doveva essere in tre tempi, ma nel momento in cui il secondo tempo prese la forma che conosciamo, Beethoven abbandonó l'idea di un terzo movimento. Emblematiche, perfette e concise sono le parole di Thomas Mann, nel suo "Doctor Faustus":
"Un terzo tempo? Una nuova ripresa…dopo questo addio? Un ritorno…dopo questo commiato? Impossibile. Tutto era fatto: nel secondo tempo, in questo tempo enorme la sonata aveva raggiunto la fine, la fine senza ritorno. E se diceva <<la sonata>> non alludeva soltanto a questa, alla sonata in do minore, ma intendeva la sonata in genere come forma artistica tradizionale: qui terminava la sonata, qui essa aveva compiuto la sua missione, toccato la meta oltre la quale non era possibile andare, qui annullava se stessa e prendeva commiato- quel cenno d’addio del motivo re-sol sol, confortato melodicamente dal do diesis, era un addio anche in questo senso, un addio grande come l’intera composizione, il commiato dalla Sonata." Terzo tempo o no comunque, il Maestro l'ha proprio suonata bene!
E' stato altrettanto interessante comunque notare come più che la musica in sè, lo strano pubblico genovese fosse più interessato alla "persona" del maestro: girando per la sala durante l'intervallo, ascoltando senza volere i commenti generali, non mi è capitato di sentire nemmeno una osservazione sull'interpretazione del maestro, o sulla bellezza dei pezzi o, in ogni caso, una nota ( ahahahha, parola azzeccatissima!!) di carattere musicale, ma solo grandi discussioni sul modo rigoroso di muoversi del maestro, del suo portamento, dei suoi vestiti... Ascoltando questi discorsi mi ha dato l'impressione quasi che ciò ciò che l'artista comunicava con la sua sola presenza fosse ben più importante della sua musica. Ma magari sbaglio.... Comunque sia, è stato un concerto molto interessante, sono felice di essere riuscita a prendervi parte!


Ed ora passiamo al concerto che la mia sfortunata collega non ha avuto il piacere di gustarsi! Ahahahah e pensare che la quinta di Mahler è nelle sue assolute preferenze.... Ahahaha che si è persa!! Il concerto è stato magnifico! Piacevole, non eccessivamente lungo, ben eseguito, con un programma estremamente appassionante! E' iniziato con un drammatico "Adagio per archi" di Samuel Barber, è proseguito con un notevole "Idilio di Siegfried" di Richard Wagner ed è terminato in un turbine di colori, di passione nelle mille sfumature della musica della Sinfonia n. 5 in do diesis minore di Gustav Mahler. La chiarezza dei passaggi, l'espressività di tutti i pezzi (sia dell'adagio, sia dell'idilio, sia delle tre parti della sinfonia) sono stati coinvolgenti ed indimenticabili. Di nuovo Battistoni non ci ha delusi! :) Fantastico come lo era stato nella direzione del Machbeth! Peccato che lo "spettacolo" nella platea, invece, fosse veramente desolante: arrotondando per eccesso, in sala ci saranno state si e no 200 persone. Peccato davvero! Gli "assenti" si sono persi, lasciatemelo dire con il cuore in mano, un concerto con i controfiocchi!

Spero che in compenso nessuno si perda il futuro concerto della GOG: lunedì 25 marzo si esibirà András Schiff, in un programma (ancora) interamente dedicato a Beethoven! Chi può vada e vedrà che non se ne pentirà!
Buona giornata a tutti!
A presto

Ginevra

sabato 16 marzo 2013

Aria che tira - 5





Andate al minuto 1:23 e risparmiatevi almeno un po' di sofferenza, nonché sermone della mitica cantante-presentatrice.
Gustatevi la meraviglia del suo timbro, le sue preziose agilità, i sui affondi - quasi Titanici - nei gravi. 

Mari Lyn 
Una voce poco fa.. - Barbiere di Siviglia
del povero di Gioachino Rossini



E con questa perla mi perderò definitivamente l'amicizia della mia preziosa collega,
ma non posso tradire la vostra fiducia!
Eccola! Con i sottotitoli - pure!

Sempre la mitica Mari Lyn
in Sempre libera... - Traviata - Giuseppe Verdi
ma anche in Addio al passato 
oouuucielou (la sentite la perfetta pronuncia inglese?)

"ogni  speranza è mmmmmmoooooooo..... [...] ... (r)tta"



Non c'è modo di riprendersi...
forse solo con questa:
(che i miei cari amici si sono gustati al Carlo Felice... ed io non c'ero...!! uffa!)
P.S.: io sono una fan di Mahler.. e della V in particolare... aspetto di ascoltarlo a teatro da circa 3 anni.

V Sinfonia - Gustav Mahler



Ma in realtà
...
preferisco augurarvi buona giornata con i 
Maroon 5 - She will be loved

un po' più di leggerezza..









venerdì 15 marzo 2013

qui nei pressi... - 3 [Librando]

Per un pugno di libro 


Amok (1922) di Stefan Zweig

Amok è una parola malese. Indica «una follia rabbiosa, una specie di idrofobia umana... un accesso di monomania omicida, insensata, non paragonabile a nessun’altra intossicazione alcolica». Lo sa bene la voce narrante di questa tesa novella – un medico dai tanti conti in sospeso: con la giustizia, con la professione, con la propria vita ormai annientata. E su una grande e rumorosa città natante che fende l’Oceano Indiano, e ricorda la non meno fatale nave della Novella degli scacchi, una confessione simile a un delirio ricrea davanti ai nostri occhi un mondo coloniale che «divora l’anima e succhia il midollo dalle ossa», scatenando forze capaci di scardinare in un attimo ordinate esistenze. Un mondo febbrile dove si scontrano la protervia di una donna di imperiosa bellezza, convinta che tutto si compri col denaro, e la divorante passione di un uomo cui i tropici e la solitudine hanno sviato la mente e i sensi. La nave va verso un’Europa ormai crepuscolare, verso una conclusione ineluttabile, lontano dalla giungla e dalla città d’acqua in cui i due hanno giocato una partita dall’esito segnato sin dal primo incontro: «Nel giro di un’ora, da che quella donna era entrata nella mia stanza, mi ero buttato la vita alle spalle lanciandomi alla cieca nel furore dell’amok».

DORFLES CONSIGLIA



Il ricatto (Død joker, 2012) di Anne Holt

Sigurd Halvorsrud è uno stimato procuratore del Regno di Norvegia. Tanto la sua carriera quanto la sua vita privata paiono immacolati. Eppure, quando la moglie Doris Flo viene uccisa in casa sua, con un colpo di spada che le mozza la testa, gli indizi sono tutti contro di lui. Una cosa però manca, una sola ma importante: il movente. E l'ispettore capo Hanne Wilhelmsen non ha intenzione di rassegnarsi ad accettare una soluzione del caso comoda ma incompleta. Ne nasce un'indagine contro tutti e tutto, contro la falsa evidenza, contro gli stereotipi, perfino contro certi colleghi e certe regole; un'indagine che pone una sfida impossibile dopo l'altra, dal dimostrare che un suicida è vivo all'individuare i membri anche illustri di una rete di pedofili. La battaglia è ardua, ma stavolta Hanne non deve combattere solo in nome della giustizia e della legalità. Cecilie, la sua compagna, è malata, e la paura del futuro mette in dubbio il passato e in crisi il presente. Dopo decenni in cui il lavoro le ha tolto il sonno e ore preziose da dedicare a chi ama, ha ancora senso essere una poliziotta? E la caccia al movente dell'omicidio e all'assassino diventa specchio di un'altra caccia: quella, dolorosa e infinita, a chi siamo davvero.

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di Appunti di uno scrittore


qui nei pressi... - 3 [Arte e Cinema]

Lorenzo Lotto nella Reggia di Venaria

Difficile discriminare se più nuoccia alla fama di un artista essere dimenticato che mal conosciuto: e vien voglia di decidere che se un grande spirito potesse scegliere, preferirebbe il silenzio alle mezze parole”, così scriveva la scrittrice Anna Banti ad incipit del suo libro dedicato a Lorenzo Lotto (1480-1556): un agile volume opportunamente recuperato e pubblicato nella collana Sms dell’editore Skira, un paio di anni fa. 
Il prezioso ritratto a parole firmato della romanziera e studiosa d’arte, sulla strada aperta dagli scritti di Roberto Longhi, finalmente restituiva la giusta statura a questo inquieto pittore, dalla vena sensibile e popolare, lontano anni luce dallo splendore e dal trionfo dei colori della pittura veneta a lui contemporanea.

Benché fosse veneziano e ventenne alla svolta del Cinquecento, la sua cultura visiva sembrava alquanto provinciale al confronto con il raffinato e poetico tonalismo di Giorgione o se paragonata al vigoroso realismo, laico ed espressivo di Tiziano.

Ma i suoi santi scavati dal tormento interiore, le sue timide Madonne, i suoi aguzzi e veritieri ritratti sono, se possibile, ancor più lontani dal classicismo idealizzante di Giovanni Bellini, che secondo la tradizione sarebbe stato suo maestro nei primi anni veneziani. Brusco ed immediato, poco propenso alla ricerca formale e alla trasfigurazione aulica dei soggetti rappresentati (anche nelle pale sacre) Lorenzo Lotto è stato forse il maggiore interprete in Italia di quello spirito nordico e riformista che si era andato diffondendo in modo più o meno sotterraneo nella piccola “borghesia” delle regioni del Nord della penisola. Ma non solo.

Lorenzo Lotto fu anche il cantore delle terre marchigiane e dei suoi rustici personaggi, come racconta la mostra Un maestro del Rinascimento. Lorenzo Lotto nelle Marche, aperta dal 9 marzo al 7 luglio nella piemontese Reggia di Venaria e incentrata dal curatore Gabriele Barucca su una ventina di opere realizzate da Lotto ad Jesi, a Recanati e dintorni.

Dedicata al periodo più fertile della produzione lottesca, l’esposizione, che ha fatto tappa anche al Museo Puškin di Mosca, in realtà è una piccola grande summa dell’arte di questo schivo e appartato artista: un viaggio sfaccettato nella sua poetica antieroica e borghese, dove trionfano penetranti primi piano di sarti e altri artigiani al lavoro, di ricche e addobbate signore di provincia, di giovani di belle speranze, di persone anonime che conquistano per la prima volta la ribalta della storia dell’arte.

In questo percorso espositivo sono tante anche le opere che raccontano episodi mutuati dai testi sacri e che appaiono sempre calati nella concretezza della vita di tutti i giorni, in modeste abitazioni e in brulli tratti di paesaggio, scavati da calanchi, come i volti dei solitari santi che Lotto metteva al centro della sua pittura altamente drammatica e narrativa. Calati nella quotidianità, nella storia, fuori da ogni distanza metafisica, così appaiono i suoi San Gerolamo e il suo San Vincenzo Ferrer proveniente dalla chiesa di San Domenico di Recanati e appena restaurato. Ma folgoranti sono anche i pannelli dell’annunciazione, dipinti a Jesi intorno al 1526 in cui le figure sacre si sporcano le mani con la faticosa quotidianità contadina, mentre lo sgomento che si legge sul volto di Maria arriva a sfiorare l’eterodossia. 
dal settimanale Left





Educazione siberiana

2013, Gabriele Salvatores.

A scandagliare lo sparuto ventaglio di titoli italiani distribuiti negli ultimi mesi, verrebbe quasi da azzardare che la cinematografia nostrana stia subendo una specie di lento, imperscrutabile processo rivoluzionario, intendendo con tale termine non l'aspetto eminentemente politico della questione, piuttosto il senso etimologico; cioè il (ri)volgersi verso un territorio altro, sia esso geograficamente circoscritto a uno spazio storico e nazionale diverso (e avverso) al nostro, oppure ritagliato, a mo' di delimitatissima enclave, addirittura all'interno della cultura domestica.
Non ci sono margini di errore, le pellicole più interessanti dell'anno appena concluso, Reality di Matteo Garrone ed È stato il figlio di Daniele Ciprì, rientravano ancora nella seconda categoria (quella dei film “sudamericani” più che italiani), mentre le più notevoli in apertura d'annata, La migliore offerta di Giuseppe Tornatore e questa di Gabriele Salvatores, ricadono nella prima sezione, rappresentata direttamente dalle quote estere, ovvero l'America e la Siberia. Sembra che la formula persegua flessioni ricorrenti, e che pur con qualche variabile nella disposizione degli addendi, senza però che il risultato finale ne sia inficiato, sono gli attori stranieri a dettare le regole di questo cinema ad “ampio respiro”: definire italiani i protagonisti degli italianissimi lavori di un Garrone sarebbe un insulto alla lingua di Dante, così come di italiano non hanno nulla le star dell'ultima fatica firmata da Salvatores, John Malkovich in primis, uno stuolo di misconosciuti attori russi in secundis. Insomma, per fare un buon film italiano, bisogna innanzitutto levare ogni riferimento alla madre patria, svuotarla da riferimenti iconografici, semantici e linguistici che non siano la sfumatura vernacolare, la riserva del campanilismo oppure, nel tentativo ormai collaudato di rivolgersi al mercato internazionale, lo spostamento di ambientazione ben oltre le frontiere alpine. La scelta del regista era quasi obbligata, perché tra tutti questo singolare partenopeo era forse l'unico capace di mutare forma e faccia a seconda dell'occasione, di passare dalla fantascienza all'amatriciana al noir-poliziesco, dal dramma impegnato di un Niccolò Ammaniti alla commedia interpretata dai più blasonati feticci del genere. I risultati non sono mai stati spettacolari, anche se una certa parte della critica ha pensato bene di coccolarlo e collocarlo sul piedistallo eburneo dei maestri, e forse è proprio per questo motivo che Educazione siberiana odora di capolavoro; perché Salvatores, camaleontico e paradossale per natura, ha girato forse senza preciso senso della consapevolezza un film di dimensione tornatoriana, ovvero di grande monumentalità registica, cura maniacale per i dettagli, location estere e storia adattata dalla narrativa russa (il romanzo omonimo di Nicolai Lilin è edito da Einaudi) anziché da un qualche trattatello patrio. Le maestranze sono comunque di casa, dagli sceneggiatori StefanoRulli e Alessandro Petraglia, fino alle musiche epiche ed etniche al contempo di Mauro Pagani e una fotografia lugubre e invernale ad opera di ItaloPetriccione. Eppure il risultato è lontano anni luce da un mediocrissimo lavoretto approntato lungo lo stivale, seppur da più fonti (parrebbe) orientato a una semplificazione del romanzo.

Educazione siberiana è ambientato in epoca di perestrojka, in una comunità rurale della Siberia, poco oltre il fiume Nistro', la cui peculiarità è che i cittadini sono tutti criminali “onesti”; rubano, ammazzano e delinquono, hanno corpi coriacei ricoperti di tatuaggi, come dei libri perfettamente leggibili in cui ogni segno corrisponde a un preciso avvenimento biografico, ma fanno del male soltanto a poche categorie di persone: poliziotti, usurai e banchieri. Non tengono mai il denaro rubato in casa, perché nonostante tutto sanno che è una cosa sporca, detestano lo spaccio ed educano la famiglia nel rispetto delle tradizioni, unendo la preghiera a sedute di combattimento corpo a corpo, e insegnando ai ragazzi a usare il coltello per ammazzare a sangue freddo e nel modo più veloce. È in questo ambiente che crescono due cugini, Kolima (ArnasFederavicius) e Gagarin (Vilius Tumalavicius, sosia di Silvio Muccino), amici (e nemici) per la pelle, che sotto l'egida di nonno Kuzja (John Malkovich) cominciano a dedicarsi alla violenza e alle rapine, condividendo la refurtiva per il bene della famiglia, fino a quando Gagarin non viene catturato e si fa sette anni di prigione. Una volta uscito, il ragazzo è cambiato, è avido di potere, non rispetta più le usanze degli avi, e presto, con grande disapprovazione dei compagni, si dedica al commercio della droga facendo comunella con i membri di un clan rivale, il famigerato Seme nero. Ecco che a complicare la situazione giungono in città un medico e la sua giovane figlia, Xania (Eleanor Tomlinson), una ragazzina mezza matta che si invaghisce di Kolima scatenando (forse) l'invidia di Gagarin. La situazione si fa presto insostenibile, e tra i due amici di un tempo, altrimenti legati da vincoli profondissimi, nascono rancori ormai impossibili da perdonare.

Il film parte benissimo, destreggiandosi tra due momenti temporali, la (contro)educazione di Kolima e Gagarin da parte del nonno e, molto tempo dopo, il reclutamento di Kolima nell'esercito della neonata federazione russa che, lungo le inospitali montagne di qualche distretto periferico, è impiegato in una importante operazione anti-droga. Inutile dire che il capo dei malavitosi è niente meno che Gagarin, ormai abbandonato da tutti, braccato tra le foreste, ancora dedito all'immaginarsi re criminale di un impero sgretolatosi sul nascere. Se fosse rimasto su questa lunghezza d'onda, il film di Salvatores sarebbe stato perfetto, ma purtroppo si lascia spesso cadere tra piccole sbavature, niente di particolarmente grave, ma abbastanza per sviare l'attenzione dello spettatore dall'impalcatura generale della pellicola: l'idea centrale era infatti quella di dispiegare la vicenda a flash-back, con un continuo gioco di rimandi tra la Siberia anni Ottanta e la Russia dell'età di mezzo, appena uscita, timida e formicolante dal socialismo, ma non ancora proiettata in pieno nell'economia occidentale. Il meccanismo funziona, almeno fino a quando la simmetria tra i tre principali blocchi narrativi (l'infanzia di Kolima, la sua adolescenza, la sua esistenza dopo il crollo dell'URSS) non perde la propria indefinibile unitarietà, permettendo a un percorso di accavallarsi sull'altro anziché seguirne lo sviluppo, soffocando personaggi e motivazioni che spesso risultano poco chiare e di sicuro non risolte. Per esempio, perché dare così tanto spazio alla storia d'amore/amicizia con Xenia e pochissimo all'anelito criminale di Gagarin, che pure uscito di prigione si rivela sin da subito l'antitesi del più composto Kolima? Oppure, che fine ha fatto nonno Kuzja? 
A un certo punto scompare senza un perché, nonostante i dissapori tra lui e l'ormai ribelle Gagarin facciano supporre che fra i due si possa apertamente consumare un qualche conflitto generazionale. Spunti interessanti, anzi fondamentali, che però Salvatores non approfondisce, così della storia di Gagarin come imprenditore del crimine non sappiamo nulla, della fine di Kuzja meno che meno, e soprattutto continuiamo a chiederci, pur senza ottenere risposta alcuna, come Kolima sia finito sotto le armi. Insomma, c'è uno spazio cronologico insoluto, tra la fine tragica di Xenia (non si dice altro per evitare anticipazioni), periodo che chiude l'adolescenza dei cugini, e quello invece della maturità, con un Kolima in divisa e l'avversario che combatte ormai solo e disperato dall'altra parte della barricata. La resa dei conti tra i contendenti è comunque d'obbligo, ma le modalità non soddisfano affatto, vedere per credere.
Educazione siberiana è un grande film, che si avvale di ottime interpretazioni, scelte registiche straordinarie (evidente la lezione de La promessa dell'assassino), ma che sfortunatamente inciampa troppo spesso nell'ambiziosa complessità delle sue premesse. Continua>>. 




Lés Misérables


2012 Tom Hooper


Anche il capolavoro di Victor Hugo, I miserabili ha la sua versione in musical, e proprio questa versione è portata sul grande schermo da Tom Hooper.Il film è tutto cantato, e per seguirlo hanno messo i sottotitoli, quindi ve lo potete gustare con le voci originali degli attori.

C'è da dire che è un opera che rispetta troppo la sua teatralità, e forse questo è il suo limite, di certo Tom Hooper non ha la dimestichezza nè l'originalità di unBaz Lhurmann, ma è la storia che conquista e che fa centro creando una specie di alchimia con il pubblico capace di catturare la sua attenzione, viene però molto facile immedesimarsi nei personaggi che sono splendidamente interpretati da un cast di attori che da il meglio di se.
La sorpresa per me è stata vedere Hugh Jackman in un ruolo più adulto di quelli in cui ci ha abituati, un ruolo più umano e meno animalesco del solito, ed è sorprendente come da vita al suo Jean Valjant, uomo incarcerato perchè per la disperazione ha rubato un tozzo di pane, atto commesso per salvare la vita del suo nipotino, ma nello stesso tempo compiendo un altro atto per salvarsi la pelle, un prete capisce la sua disperazione e gli da i candelabri.

Quale cosa migliore per decidere di cambiare vita e fare del bene?
E il bene riesce a farlo, quando Fantine, una giovane ammalata madre di una bambina Cosette viene cacciata dalla fabrica di Valjant, - che ha cambiato nome per diventare una persona rispettabile - perchè è una ragazza madre da delle sue colleghe invidiose, che avevano paura che la giovane gli rubasse i mariti, lui decide di prendersi cura di Fantine, quando la vede in strada a prostituirsi,
La giovane morirà di lì a poco affidandogli la sua bambina, che è vittima di una coppia spregievole; lui salva la vita alla bambina e la mette sotto la sua ala facendole da padre.
Il film è incentrato su questo rapporto padre-figlia che colpisce nel profondo, ma è l'aguzzino del carcere che gli sta con il fiato sul collo e non ha mai smesso di dargli la caccia che è il rapporto di maggior impatto del film, bravissimo Russel Crowe nel suo ruolo di cattivo se possiamo definirlo così, i migliori momenti del film sono in questo scontro, tra un atto compiuto per pura umanità anche se sbagliato, e tra chi vuole imporre il rispetto della legge non comprendendo le reali intenzioni di quell'uomo.

Il film non è un capolavoro, ma i suoi punti di forza sono nella sceneggiatura brillante e nella recitazione degli attori, non stanca mai e riesce a colpire soprattutto per come viene rappresentato, ma dobbiamo anche ammettere che l'opera risulta molto teatrale, girato in maniera documentaristica, alcune scene sembrano girate in presa diretta, e questo diminuisce di fatto l'impatto stilistico del film, il regista invece di dare la sua impronta personale e dare il suo parere alla scena si limita a fare un film d'attori evitando troppo di esprimere se stesso, limitandosi a dirigere il musical e basta.
La regia è quella che pesa maggiormente per la riuscita del film, che si limita a filmare un opera teatrale lasciando che gli attori facciano il lavoro grosso, ed è un peccato perchè aveva molte possibilità per essere se non un capolavoro un ottimo film.

Resta comunque un opera brillante per quanto riguarda la musica, le canzoni, e i personaggi, che sono caratterizzati da un cast di attori in piena forma.
Sinceramente a me è piaciuto, anche se mi aspettavo molto, ma resta un opera apprezzabile se volete storie capaci di creare alchimie, comunquesia consiglierei di recuperare il libro, io lo farò molto presto se avrò le possibilità.
Buona visione.





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