mercoledì 10 aprile 2013

Simon Boccanegra - Maratona Verdi 2013 - XI (II parte)


Ecco la fine della nostra "analisi" del Boccanegra, iniziata mercoledì scorso!

Curiosità
Alcuni giorni dopo l'andata in scena della seconda versione, scrivendo all'amico Opprandino Arrivabene, Verdi osservò che Simon Boccanegra è opera "triste perché dev'essere triste, ma interessa" (è la stessa frase che usa Pestelli per il suo saggio n.d.r.). Nel porre l'accento sulla caratteristica più evidente di quest'opera, la sua tinta scura e malinconica, questo lapidario giudizio solleva un interrogativo di fondo: quali ragioni hanno spinto Verdi a tornare su questa partitura a distanza di decenni, in un momento delicatissimo della sua carriera, per di più interrompendo la composizione di Otello? Le motivazioni sono molteplici e di diversa natura: se da un lato l'operazione si giustifica come una sorta di prova generale volta a saggiare, dopo tanti anni di silenzio, le reazioni del pubblico di fronte alla sua nuova musica, nell'attesa di proporre un'opera originale; dall'altro le parole del musicista lasciano intendere che quest'opera, nonostante l'insuccesso, era rimasta nel suo cuore. Si racconta che Verdi abbia in seguito confidato al nipote Carrara di aver voluto bene al Simon Boccanegra «come si vuol bene al figlio gobbo.»
Simon Boccanegra è una di quelle partiture verdiane – come Macbeth e Don Carlos – che, al di là del loro valore artistico, difficilmente avrebbero potuto aver accesso alla popolarità nel corso dell'Ottocento, in quanto il suo soggetto non ruota intorno ad una grande storia d'amore o ad un infiammato dramma di popoli in lotta per la libertà.
Incentrato su un tema ricorrente nel teatro verdiano - la crisi di un sistema di potere e di affetti familiari - Simon Boccanegra finisce infatti per capovolgere i convenzionali rapporti di forza tra i personaggi: non solo il protagonista è il baritono, ma il suo vero antagonista non è il tenore (l'innamorato giovane e romantico) bensì il basso, mentre la donna contesa non è l'amante, bensì la figlia dell'uno (Simone) e la nipote dell'altro (Fiesco). Il cuore dell'opera è rappresentato da un intreccio fatale di odii atavici e fraintendimenti, in una cronica impossibilità di intendersi e comunicare. Le passioni torbide e irrisolte che animano quest'opera buia, complessa e tormentata, sono destinate a sciogliersi solo dopo che l'inesorabile trascorrere del tempo ne ha levigato l'asprezza, ovvero con l'approssimarsi della morte. Tra il prologo e i tre atti trascorrono ben venticinque anni, ed è suggestivo raffrontare questo scarto temporale con il lasso di tempo - ventiquattro anni: dal 1857 al 1881 - che separò nella realtà la nascita delle due versioni: si direbbe che lo stesso Verdi, per trovare il vero senso di questo dramma, abbia avuto bisogno di riconsiderarlo con uno sguardo retrospettivo, quello stesso sguardo che domina l'atto conclusivo dell'opera e lo rende così umanamente struggente.
Se dal punto di vista drammaturgico la modifica più importante introdotta dalla versione 1881 riguarda il quadro che chiude il primo atto, composto ex novo e destinato a diventare la scena più intensa e spettacolare dell'opera, sul piano poetico appaiono non meno determinanti i cambiamenti alla prima parte del prologo e, in particolare, l'aggiunta di quel breve ma straordinario preludio il cui motivo principale – «una cellula drammatico–narrativa a vite perpetua», come la definisce Massimo Mila – sembra far scaturire il dramma dalle brume della memoria, dando piena evidenza musicale all'idea fondamentale del trascorrere del tempo.
Il colore complessivamente severo deriva sia dal largo impiego di uno stile vocale tra il declamato e l'arioso (quanto a dire dall'assenza di motivi orecchiabili: a nessuna delle arie è toccato in sorte di entrare a pieno titolo nel repertorio concertistico), sia dal predominio delle voci gravi e virili (Simone, Fiesco, ma anche i congiurati Paolo e Pietro, e lo stesso coro, per lo più maschile), cui si contrappone una sola voce femminile: quella luminosa e calda del soprano lirico che interpreta il ruolo di Amelia, la giovane donna tenera e gentile, coinvolta suo malgrado nel dramma esistenziale e politico degli uomini che l'amano e ne fanno oggetto delle loro contese.
Il protagonista, un plebeo dall'animo nobile provato in gioventù da un atroce dolore, canta nel registro vocale più caro a Verdi, quello di baritono. Il suo nemico, l'inesorabile patrizio Jacopo Fieschi - una figura di padre-padrone ricorrente spesso nel teatro verdiano, da Zaccaria (Nabucco) a Rigoletto, da Giorgio Germont (La traviata) ad Amonasro (Aida), da Filippo II (Don Carlos) al Marchese di Calatrava (La forza del destino) - in quello di basso.
Più sullo sfondo si staglia la coppia degli innamorati, costituita da Amelia e Gabriele Adorno, il giovane patrizio dall'animo ardente ma leale (tenore). La loro limpida storia d'amore ha la funzione di creare un contrasto con le torbide, inespresse passioni, incancrenite dal tempo, che tormentano gli animi dei due antagonisti, segnalando in tal modo la distanza generazionale che sussiste fra i due mondi. Quest'opera cupa e triste si conclude infatti con un lutto compensato dalla promessa di un tempo migliore e con un messaggio di pace e d'amore: simile ad un passaggio di testimone, la morte di Simone coincide con la promessa di nozze degli innamorati e con l'elezione a Doge di Gabriele, cosicché il momento della riconciliazione nasce catarticamente da quello della sofferenza.
Illuminante per comprendere il senso del lungo travaglio e dell'inutile odio che distrugge la vita di Simone e di Fiesco è il peso che Paolo Albiani, il congiurato (un altro baritono) viene ad assumere per effetto della revisione 1881, soprattutto sotto la spinta di Boito, fatalmente attratto verso personaggi mefistofelici. Non è un caso che proprio la condanna a morte di Paolo, il simbolo stesso del male, e la sua definitiva uscita di scena preceda immediatamente il grande duetto della riconciliazione.
Musicalmente la partitura risente inevitabilmente degli anni che trascorrono tra la prima e la seconda versione e delle esperienze umane ed artistiche del suo autore. Le parti nuove sono facilmente riconoscibili e presentano una finezza di scrittura ed una brillantezza ritmica e timbrica lontane dallo stile disadorno e un po' monocorde dell'opera del 1857. La tinta ombrosa che caratterizza la prima versione permane anche nella seconda, ma attraversata da lampi sinistri che, nella terribile scena della maledizione che chiude il primo atto, arrivano a coagularsi in effetti espressionisti.
Opera avara di grandi arie, Simon Boccanegra si fa invece apprezzare per una straordinaria aderenza della musica al dramma, già riscontrabile nella versione originale ma notevolmente accresciuta dalla revisione, che elimina i brani più convenzionali e trasforma alcuni recitativi in moderni declamati melodici. Unica pecca dell'opera - è stato detto - è la presenza di un secondo atto che, per ragioni di struttura narrativa, Verdi non ha potuto rielaborare se non in minima parte e che, nella sua brevità, schiacciato com'è tra la grandiosità della scena finale del primo atto e la commovente tragicità del terzo, ha quasi l'aspetto di una parentesi e di un ritorno al Verdi più convenzionale. Ma anche qui, la qualità della musica e la sintesi drammatica sono tali da giustificare la piena riabilitazione che la critica ha ormai accordato a questa partitura intensa e sottile, che, tra le altre cose, ha il merito di offrirci uno dei ritratti più autentici dell'uomo Verdi: pessimista, scuro ma – come la sua opera – sempre umano e profondo.

Simone Boccanegra




C’è una piazzetta nei caruggi, lì c’era la sua casa.
E lì c’è una una targa a ricordo del suo illustre abitante: Simone Boccanegra, il primo Doge della Superba.
Altre info e foto qui.


Incisioni discografiche 
Trovate due versioni della discografia, migliori di quella che vi propongo, tra i documenti che vi ho allegato.

Versione del 1881 
1939 Lawrence Tibbett, Elisabeth Rethberg, Giovanni Martinelli, Ezio Pinza - Ettore Panizza 
1951 Paolo Silveri, Antonietta Stella, Carlo Bergonzi, Mario Petri -  Francesco Molinari-Pradelli
1957 Tito Gobbi, Boris Christoff, Victoria de Los Angeles, Giuseppe Campora - Gabriele Santini
1958 Tito Gobbi, Leyla Gencer, Mirto Picchi, Ferruccio Mazzoli - Mario Rossi
1961 Frank Guarrera, Giorgio Tozzi, Renata Tebaldi, Richard Tucker - Nino Verchi
1976 Piero Cappuccilli, Katia Ricciarelli, Giorgio Merighi, Nicolai Ghiaurov - Oliviero de Fabritiis
1973 Piero Cappuccilli, Ruggero Raimondi, Katia Ricciarelli, Plácido Domingo - Gianandrea Gavazzeni
1977 Piero Cappuccilli, Nicolaj Ghiaurov, Mirella Freni, José Carreras - Claudio Abbado
1984 Sherrill Milnes, Paul Plishka, Anna Tomowa-Sintow, Vasile Moldoveanu - James Levine
1987 Piero Cappuccilli, Ruggero Raimondi, Katia Ricciarelli, Placido Domingo - Gianandrea Gavazzeni
1988 Leo Nucci, Paata Burchuladze, Kiri Te Kanawa, Giacomo Aragall - Georg Solti
1995 Vladimir Chernov, Dame Kiri Te Kanawa, Plácido Domingo, Robert Lloyd - James Levine
2010 Placido Domingo, Adrianne Pieczonka, Marcello Giordani, James Morris - James Levine


Versione originale
1975 Sesto Bruscantini, Josella Ligi, Andre Turp, Gwynne Howell - John Matheson 
1999 Vitorio Vitelli, Annalisa Raspagliosi, Warren Mok, Francesco Ellero d'Artegna - Renato Palumbo 


Spartito, parti e partiture qui. L'opera è edita in Italia da Ricordi.
Libretto in versione web o pdf o nei nostri file.

Approfondimenti:
Saggio di Giorgio Pestelli
Saggio di Daniela Goldin Folena
Saggio di Alessandro Taverna
Analisi musicale di Gilles de Van
Discografia di Giuseppe Rossi
Appunti per una discografia di Giuseppe Rossi
Programma di sala del Teatro La Fenice di Venezia
Programma di sala del Teatro Lirico Verdi di Trieste



A presto con la prossima opera!
Giorgia



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